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La macchina antropomorfa
Un primo incontro con alcuni dipinti di Wanda Broggi, due anni fa mi aveva intrigato per certi singolari contatti, e latenti risvolti psicologici che si facevano sentire nelle sue apparizioni di natura simbolica. Accostati e distinti, in campo grigio o azzurrino, il " corpo" umano e il "corpo" di una bestia, una forza di natura, si assestavano con una perentorietà di presenza, in una sospensione di tempo, come esemplari immobili, in attesa, di un più ricco ma ancora inespresso mondo di tensioni oniriche.
Nei dipinti successivi, il "corpo " della bestia ha mutato specie, acquistando altri significati, attraverso una metamorfosi "vista", seguita e dipinta a fil di logica: la forza di natura è divenuta una costruzione meccanica che ingombra il campo visivo, ingloba oggetti e figure, li frantuma e li deforma, se ne riveste assumendo talora sagome antropologiche; o si chiude in se stessa, come un ordigno gesticolante e semovente che seziona tempo e spazio, uomo e ambiente con le sue membra ferrigne, le sue eleganze d’acciaio e le sue suonerie sensuali.
E' indubbio che in queste anatomie meccanicistiche, si riflette il clima di certe particolari associazioni del linguaggio "surreale" che, anche là dove assumeva la nuova iconografia della macchina, tendeva a smuoverle intorno un’inquietante stratificazione di allusioni, di memorie dissociate. E forse è avvertibile, nell’interesse così chiaramente orientato di Wanda Broggi, una sua relazione culturale con alcune esperienze di visività dinamica, di una "realtà in fieri", come quelle di un Romagnoni o di un certo Guerreschi di alcuni anni or sono. Ma, nel sottile fiato analitico che vanno prendendo le "cose" volanti sugli schermi presentati dalla pittrice milanese, si assiste a una "mise en cadre" dai caratteri più sfocati e mossi l'iconologia meccanicistica è investita da una strana visione fantomatica, sottilmente derisoria e dissacrante, che la spinge ad emergere per un attimo, precaria e provvisoria; essa si riverbera sul significato dei miti e dei riti di ieri e di oggi. Allora, il tema generale che affiora in queste immagini fosforescenti, non è tanto un personaggio macchina congiunto al suo altro da sé, la "figura" umana, quanto l’intera materia di sensazioni e memoria che investe l'uomo immerso nella sua storia e nel presente.
L'insieme costituito dalla vampa bluastra delle apparizioni è condotto secondo piani di lettura diversi, secondo improvvise interiezioni ed interferenze, contaminazioni di segni- immagini appartenenti a differenti mondi della cultura, dell’arte, della natura e degli artifici tecnologici e consumistici. Ciò che più conta, è che questo intreccio di emblemi meccanici e di presenze umane, di immagini antiche e di moderni "robots" non dipende da osservazioni compiute da uno sguardo che si accontenta di accertare fatti e cose della realtà, ma proviene da movimenti di sogno, da momenti di accensione interna, mentre si tende al dilà di una dimensione di genere surreale tradizionale, per tentare di avvertire piuttosto una fluida, complessa insorgenza di simboli. Esiste cioè, in queste apparizioni di realtà fatiscente, sfaccettata e lampeggiante, una sorta di dinamismo emozionale proiettato dall'interno, con tutto il carico della sua spettralità e delle sue connotazioni bizzarre. I reperti che così si dipanano oppure si intersecano, sono strappati dal loro peso realistico per scatenarsi in un’impronta balenante, che sfugge nei suoi tempi precisi, ma che si fa sintesi di un affiorare simultaneo di metamorfosi in nuovi simboli minacciosi.
Ritorna frequente l'idea di un meccanismo animato, metallica anatomia personificata che si fa prepotente fra gli altri, che viene intronizzata come un antico dio, come nuova Minerva o nuovo Minotauro.
Ma il funzionamento visivo che Wanda Broggi va applicando nei suoi recenti "quadroni" acquista valori e sensi di una sottile capacità di trasalimenti, di risentimenti per questo arcano rifiorire e dilatarsi di fredde e lucide allegorie nei luoghi malinconici in cui viviamo. E che la radice di questo contesto così carico di spazio-tempo interno sia situata tra il simbolo e il sogno che scaturiscono come eco dell'ambiente esterno, è provato dal mutevole gioco delle apparizioni, dal loro fiottare ed ergersi momentaneo e simultaneo, colto da luci rapide, a sorpresa, come fitte lancinanti della memoria espresse proprio in quelle improvvise alternanze di buio e di luce, come se un "flash" impietoso rivelasse l'incongrua, metafisica mistione di simboli antichi e nuovi, l’antico Apollo e il nuovo meccano, la maschera tragica del teatro di sempre, e i brandelli della "persona " che sprofondano o si alterano in un eterogeneo ingranaggio dinamico, vuoto e fatiscente.
La stessa materia usata, l'olio, è impiegata non per effetti pittoricisti, ma quale veicolo di questa immersione allusiva dello spettatore nel centro del quadro; un quadro che sembra costruito in un lampo, che coglie un "tutto" in una sorta di proiezione medianica, o di sogno; (in certi dipinti è presente l'ombra di un corpo immerso nel sonno).
Queste caratteristiche che stanno per farsi sempre più efficaci nel lavoro di Wanda Broggi, sono permesse anche dalla sua libertà di montaggio che si vale talora di rapidi scarti e scorci, di ritmi centrifughi e centripeti, tesi a diroccare un’architettura prospettica ancora interferente, e a scandagliare non tanto la pesante presenza di oggetti tecnici, quanto i momenti di complicità, e anche di difesa, della nostra esistenza torpidamente confusa col fantasma tecnologico.
Così che, in questi dipinti, si avverte anche la tenacia silenziosa con cui ci irretisce il congegno di una certa realtà fantatecnica, che potrebbe ingoiare e violentare tutto ciò che crediamo più vero, sensi e passioni, quella "privacy" che vorremmo serbasse una sua segreta resistenza. La sua realtà sia pure disintegrata e turbata dalle invadenti strutture attuali, può ancora proiettarsi in un nucleo di sensazioni e di memorie apparentemente sconnesse ma capaci di riflettere e respingere, nel fuoco di un’ironia critica, l'avvento dei miti e dei poteri minacciosi del presente calandoli nel grottesco di immagini traslate, di evocazioni dotte, di cadenze fabulistiche: fors'anche la favola di un crollo di "culture" storiche, vissuta in un vivissimo e dolente stato onirico, svuotata agilmente nel "puzzle" filmico di uno schermo in cui vagano irridenti immagini anamorfiche.
In questa passione metaforica, la chincaglieria meccanica che invade sfrenatamente l’ambito visivo perde il suo peso realistico, si spoglia di retorica, e si fa portatrice di non so quali sofferte diramazioni interiori, chiaramente percepibili in questa proiezione inquieta, calata in mezzo alle macchine assurde; ma anche fatta lievitare nella regione di un’immaginazione pronta a non subire passivamente.
Con l’aria di cogliere, appunto, il "sentimento" e la visione di un sogno, di cui non si possono ricostruire le successioni, ma di cui resta un’indelebile traccia di angoscia impotente, presi nell'orrido incantamento, per fortuna effimero, di un fenomeno di nuova antropofagia.
Nei suoi sviluppi più recenti, l'elaborazione di tale tema mostra un dominio sempre più sicuro di un certo tipo di proiezione libera e sciolta da componenti iconografiche troppo dense di reperti, fino a lasciar prevedere altre soluzioni di estremo interesse sia sul piano dei contenuti che della loro, ovviamente relativa, possibilità di "forma", di uscita espressiva, le cui modalità hanno già assunto, in questo ultimo tempo, una persuasiva e penetrante efficacia.
Elda Fezzi
Presentazione mostra personale
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