Firma di Wanda Broggi  
 
 

I giardini di Armida

Con la forza della seduzione

Wanda Broggi e le giostre. La sua nuova serie pittorica è dedicata alle giostre e, attraverso di esse, all’infanzia, agli animali dei giochi, gli animali parlanti dei sogni, gli animali inquietanti e saggi, fiduciosi e fuggitivi. Non è Esopo e la sua tradizione ad essere qui evocati, ma il mondo segreto delle metamorfosi. Il suo modello generale, la più impressionante trasformazione di tutte: quella per la quale si abbandona il corpo infantile e si diventa adolescenti e poi adulti.
In quell'età in cui si cambia si hanno infinite reazioni, dall'imbarazzo all'esaltazione. Ma spesso, particolarmente per le bambine, tutto avviene all’insegna della seduzione; ed è questa la prima chiave per leggere le giostre: con le sue nuove figure Wanda Broggi trova una messa in scena, una teatralizzazione capace di rappresentare il rito di passaggio. E lo fa presiedere dalle potenti armi della seduzione.
Un solo quadro allude a una donna, ma sappiamo che è un segnale dell’artista stessa, una presenza che la chiama in causa.
Quasi come Alice nel paese delle meraviglie, lei stessa si accinge ad allestire attorno a sé il mondo rotante degli animali, come già nell’antichità faceva la maga Circe. Tuttavia il suo potere è più insinuante e moderno. Seduce e trattiene presso di sé le sue vittime con le catene invisibili ma potenti del piacere e della fantasia. E, soprattutto, a differenza della stirpe demoniaca dei suoi modelli, Armida ad un certo punto si innamora davvero. Allora si rifugia in cima a un monte e crea un giardino meraviglioso per il suo Rinaldo.
In quel mondo fatato, la natura risponde al tenero abbandono, al piacere dei sensi in un’infinita voluttà. Ma ben presto il gran cavaliere viene richiamato ai suoi alti doveri: è la fine del giardino e l’inizio di una sofferenza che dà una umanità inattesa alla maga. E' il capolavoro del Tasso, che oscilla tra artificio e amore sfrenato, tra debolezza e superpotere.
Il giardino di Armida segnala evidentemente uno sguardo, un'occhiata letteraria che si sovrappone liberamente allo spirito dei dipinti, se ne discosta anche, come per uno strabismo di Venere. Ma, pur andando per la sua strada, l’evocazione di Armida getta una nuova luce su tutta la galleria di animali destinati a sfilare uno dietro l’altro, come dominati dalla magia, simili in questo ai topi nella fiaba del pifferaio di Hamelin.
Le giostre, per gli adulti, più che un gioco sono un giro di valzer, un'allusione lieve e drammatica al consumarsi della vita su se stessa: cento giri, mille, e via con tutto che va perduto.
Intorno a quest'area di significazione ampia, a questo senso in qualche modo metafisico, si diffonde un alone di perplessità, un'allusione reticente che si percepisce (e qui il discorso va dritto al cuore della nuova produzione di Wanda Broggi) si percepisce in una strana forza delle immagini.
La giostra mette in movimento giocattoli inanimati. Ma proprio, qui, tra l'immobilità assoluta dell'oggetto, del cavallino di legno, e la libera vivacità dell'animale reale, si gioca tutta la tensione della serie.
Forse, più che di una tensione si tratta di un’ambiguità profonda che perfora la superficie del quadro. In questo senso, Wanda Broggi si allontana dalla sua ritrattistica di successo, dove fissava alcune caratteristiche del soggetto con allegorica sontuosità, e imbocca una via più arrischiata, che però si rivela, strada facendo, particolarmente proficua.
Tutta la serie gode dell'effetto inquietante e artificiale (come sono artificiali i giardini di Armida ) delle animalesche effigi in movimento: il coniglio in fuga, il maiale pronto a balzare, il cigno che inarca il collo. Ma mentre l'artificio rimanda a una zona vagamente malefica e pericolosa, la destinazione infantile del gioco dovrebbe rasserenare l'immagine con le sue connotazioni da favola (il titolo Andersen di un prezioso quadretto la dice lunga ): ciò che ne risulta è un effetto di stallo, di tensione irrisolta, come se una corrente fredda e una calda si incontrassero creando un subbuglio sulla superficie increspata dell'acqua. Alla fine il senso di inquietudine e di minaccia è solo più insinuante.
Le giostre sono però soprattutto lo svago dei bambini, il luogo dei figli. E per gli adulti -cui è sbarrato il ritorno al sentire dei primi anni di vita- le giostre rappresentano il momento della regressione, quando accompagnando i figli, e aspettando al margine che spariscano, di spalle, dietro la curva, li vedono ricomparire, l’attimo successivo, sorridenti e illuminati in volto. E' un esercizio antico che questi animali di legno, trotterellanti sulle loro aste di ferro, ci invitano a rifare coi nostri piccoli, un esercizio che conoscevamo bene quando, ancora in fasce, vedevamo apparire e sparire il volto della mamma: baucette. Fort-da, dice Freud, che ne parla per indicare il momento in cui l’infante impara, dominando l'ansia, a invocare la madre appena uscita dalla vista abituandosi, (prima che ricompaia), a scoprire la natura del linguaggio, che nomina cose per lo più assenti.
La presenza degli animali, nella serie della giostra, però, è esibita con tutta la monumentalità possibile: i cavalli secondo le ferree leggi della disposizione sulla pedana, sono quasi sempre allineati in un ordine prospettico che tutta la struttura rotante accentua (pali verticali, assi del pavimento di legno, gradini e piani sopraelevati). Si tratta, però di una monumentalità spaesata, che si applica qui ai cavallini di legno, simulando una presenza animale che, nonostante tutto, sottolinea, lo dicevamo, l'assenza dell’animale vero.
Nei dipinti, nessuno cavalca queste bestie. Le giostre sono deserte. Appaiono come certi stadi, senza pubblico, dove l’atleta si misura con quel grande spazio vuoto pensando al momento agonistico (già avvenuto o che deve ancora avvenire).
In realtà qui, sulle tele, manca solo la musica frastornante dei baracconi e i giovani avventori, per il resto l’effetto è dei più reali (ma non realistici ). Reale è l’effetto di luce che dà consistenza alla scena e che tornisce la superficie lustra, incerata, laccata, dei colli, delle selle, delle zampe. E' una luce che incrudelisce e distacca questi soggetti "poetici " dalla loro aura favolosa portandoli in un mondo tagliente dove le cose possono anche ferire, scontrarsi e far male.
Questa luce fissa illumina una materia pietrosa, solida, che nulla ha a che vedere con le atmosfere morbide delle fiabe e dei sogni. Qui la fantasia ha perso peso, è scesa in terra ed è salita, appunto, su una giostra.
Ma ha preso anche la crudeltà: quella del teatro di Antonin Artaud. E, poiché siamo in area francese, quella anche di Balthus (per evocare l'unico artista che viene veramente in mente a proposito di questa serie di Wanda Broggi ). E' proprio quel suo modo di rappresentare ambienti e ragazzine con un gusto apparentemente minuzioso e impassibile - mentre nasconde un fondo insidioso, allucinato e fortemente erotico - che sembra affacciarsi per esempio in un quadro come Habib, con le sue ombre misteriose, i suoi spiritelli nascosti sul fondo della parete, dietro al cavallino sellato pronto per un’altro inutile giro della giostra.
C'è anche il Colonnello Chabert che, ricordando la vicenda del militare che perde la memoria, dà una bizzarra lettura balzachiana a una figura che potrebbe anche essere un manichino di quelli che nelle fiere sono bersaglio di giochi di bocce, un manichino da colpire, da far cadere; ma che potrebbe anche essere un fauno, un centauro pronto a balzar fuori da una qualche pineta dannunziana per insidiare una ninfa Valery di cartapesta, apres-midi da baraccone.
Il mito è anche evocato nel Cigno di Leda. Di nuovo una storia di stupro divino prende l'aspetto di una boite preziosa di un angolo di porcellane domestiche. La strana intimità del cigno e del porcello - come quella del pettirosso e del cigno -; o del maiale e del coniglio, in Andersen e in La ronda di notte - rendono credibile e dolce il clima da fiaba che sembra infine prevalere. Ma è una simulazione a doppio livello come un cassetto a doppio fondo, come quello che, in A Game of Chess di Eliot, presenta gli argenti del boudoir della signora: un lussuoso confortevole decoro borghese che il vento di fuori sibilando e bussando alle imposte insidia, snervando l'umore della donna sola, riducendola alla terribile realtà della Waste Land.
Il cocchio è pronto e se Ludwig vi salirà, il gioco di luci decadente, la fontana mirifica di quell'infelice signore di Baviera assorbirà con i suoi effetti ogni pensiero, come nel film di Syberberg. La zucca di cenerentola è il veicolo più perfetto per arrivare al ballo: il lusso, lo sfarzo ridondante e barocco delle sue forme non ha nulla di reale, ma ciò nonostante è il vero traghetto dell’amore.

Ermanno Krumm

Presentazione mostra personale
Galleria "Spazio Immagine" Milano - aprile 1997


 

 
   

 


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