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Ermeneutica di un processo formalizzante
Le modificazioni intervenute nell’arco degli ultimi decenni sull’abitat umano e naturale hanno indotto un mutamento di orizzonte mentale in coloro che sono quotidianamente a contatto con la ratio tecnologica.
Il fenomeno è ravvisabile meno negli adulti di quanto invece non avvenga nelle recenti generazioni, per le quali si deve piuttosto presumere la radicale sostituzione di tutta una serie di cifre e di punti di riferimento oggi quasi piegati alla misura della lettera morta.
Ma se ciò che agisce a livello cosciente manca del polo cui dialetticamente ha da rapportarsi, è allora evidente che il mutamento della struttura mentale trova il suo necessario pendant in una nuova configurazione della struttura profonda. La perdita di una certa prospettiva e di precise categorie logiche consegue di necessità da un nuovo dimensionarsi dell'universo onirico.
Più sopra s'è, però condotta una distinzione tra chi, per dirla con Conrad, ha ormai tagliato il traguardo del sesto o settimo lustro e chi invece è sopraggiunto, quando la "nuova razionalità" è divenuta centrale e totalizzante.
Per il discorso che siamo avviati a fare e per la sua applicazione su Wanda Broggi, parrebbe una contraddizione.
Quando tuttavia si pensi alla qualità emozionale e direi quasi istintiva degli artisti, ai modi in cui la fantasia coglie e media il mondo circostante (anche quello della vita immaginaria: in ciò si è d'accordo con Breton), appariranno allora in tutta chiarezza le differenti possibilità di porsi in sintonia con l’air ambiant.
Tradotto nel linguaggio dell’arte d’oggi, questo comporta la medesima direzione dei fenomeni che caratterizzano il nostro tempo.
E' in altri termini la nuova realtà sociale, così come essa si ripercuote nell'universo psichico, a spiegare come e perchè ciò che una volta sembrava sintomo di razionalità - tale ad esempio una delle "strutture" della Broggi - si sia ormai volto in un archetipo del nuovo status onirico, si sia cambiato in metafora o meglio ancora in condensazione di un nuovo immaginario collettivo.
La scrittura della Broggi è certamente al livello della coscienza, e forse anche la denunzia e la critica appartengono al suo bagaglio poetico. Ma i complessi rapporti tra esistenza e coscienza all’interno di quelle profonde modifiche emozionali fanno poi sì che quel che è avanzato sul piano logico si rovescia in un asettico organamento nel quale si rapprendono i fantasmi e le alienazioni del presente.
Le macchine inutili e indifferenti divengono in tal modo gli ectoplasmi dell'edonismo contemporaneo: cioè a dire la descrizione del proprio tempo attraverso le serie dei fantasmatici e fantastici archetipi, nei quali trovino forma l'alienazione, una sua lettura critica e la sua registrazione sul piano della pelle e dei nervi.
L'attrezzeria iconografica della Broggi pare incline ad una forma di moderno bricolage accortamente adeguato al presente. L'impressione cade però nel generale, e per ciò stesso nel generico, se si smarrisce il senso altrettanto delle strutture quanto del loro stesso svolgimento stilistico.
I segni del più privato habitat appiattiti sul livello di una asettica oggettualità - tali ad esempio le piume, il palloncino, la sedia di vimini, il bambolotto di gomma - escono reinventati e quasi ri-scritti. Il frammento è così polisemico, polisenso: è pezzo anatomico e unità tecnologica, reperto neutro e sintesi metonimica.
Ed è anche la filigrana in cui si condensa in immagini tutt'affatto particolari, un flusso mentale e psichico la cui individualità è complicata dalla dinamica contemporanea dilatata a un fenomenologismo di massa.
La distanza tanto dalle avanguardie storiche di specie anarcoide che dai settarismi del realismo semplificato e consolatorio non potrebbe per ciò stesso divenire maggiore.
Una volta che ci sia resi consapevoli che l'oggetto, il "frammento" non vengono assunti in una loro naturalità carica di intendimenti provocativi e significante un referente sempre esterno; una volta cioè che una lettura attenta alle distinzioni colga il senso autentico dei legami e delle differenze, potrà capirsi sino a che punto l’operazione risulti creativa di "forme" originali e autonome - di un’originalità peraltro particolare, dissimulata sotto la scorza del consueto, di ciò che appare notomizzato, di un dèjà vu che esimerebbe dall’analisi.
Le strutture della Broggi, specie quando ci siano fusione e commettitura tra i diversi segmenti e si superino i richiami a una letterarietà non costantemente pertinente, veicolano una semanticità che non è affatto quella che il nostro orizzonte mentale è portato a riconoscere loro anche sulla scorta della riduzione a stereotipi, a formula banalmente volgarizzata delle dialettiche critiche da Adorno ad Horkheimer, da Marcuse ad Habermas.
Il coinvolgimento di Thanatos ed Eros, e qui torniamo in parte al discorso di partenza, è al contrario attivamente funzionalizzato ad un loro nuovo appalesarsi nell'onirismo sotteso agli "universa" tecnologici.
Sullo stesso piano cosciente, si registra una sorta di vertigine di ciò che non percepiamo comunemente come reale, che intacca e sconnette le forme e determina il loro spaesamento, il loro innaturale librarsi in uno spazio temporale viceversa ben definito.
In effetti, la forza dello sguardo della Broggi è tanto penetrante e magica che non solo ferma le cose, gli "oggetti diurni" che la circondano, ma li spoglia di ogni loro apparenza, come se un obiettivo rimanesse per sempre aperto e fissasse così l’immagine ultima del mondo. Mentre dipinge, ella osserva con attenzione le minime cose viventi: un vello di cagnolino, una scarpa a tacchi, le piume e i nastri finti di una maschera quasi questa fosse soltanto l’ombra di un volto lasciata cadere da un sogno, un cavallino metallico, una macchina antropomorfa la cui tipicità fissa e dilata a limiti emblematici il dinamismo dell’iconosfera urbana fino al punto che i tubi, gli ingranaggi e gli assi sembrano arterie, vene, tendini e nervi.
Il suo occhio frantuma la realtà quotidiana abolisce la crosta di tedio che la tiene assieme, ne porta in luce le discontinue essenze rivelatrici.
Sì che esse perdono ogni peso reale, e fluttuano nell'aria come quei suoi palloncini gonfi di felicità e di disperazione.
Di fronte a un’opera quale Il fegato macchinatore dell'universa realtà, sembra che la Broggi non abbia inventato nulla ma il ricordo del quadro resta confitto nella mente come un piccolo spazio d’inquietudine, il ricordo della realtà invece dilegua ben presto, come il fantasma di una suggestione.
Si tratta di una figura che capta l’attimo della correspondance, in cui contemplante abbandono e tesa attenzione si fondono. Le metamorfosi di tale spettacolo, che l’artista instancabilmente osserva con la stessa lucidità che guida la sua introspezione, si identificano con il flusso dell’invenzione e dell'elaborazione del linguaggio simbolico.
Il quale, ci avverte la pittrice milanese, si trova iscritto nelle cose, nel mondo; tocca all'artista scoprirne gli elementi sintagmatici, isolarli e portarli alla luce.
Basta descriverli, fissarli in un’immagine con occhi che, mentre conoscono ogni più piccolo particolare, colgono nello stesso tempo al di là delle apparenze fenomeniche, oltre l'evidenza della loro oggettività, la figura simbolica che si nasconde, il segnale che la rivela e l’atmosfera entro cui appare.
Così l'immagine nasce già formata dalla sua precisione e dal suo mistero.
La pittura della Broggi prende vita proprio dalla fusione di queste due opposte situazioni: dal mantenere diretto l’atto che riproduce la realtà, nella sua generale complessione e nella minima trama dei suoi oggetti, della sua materia e dei suoi atomi; e intanto dal disporre tali elementi secondo il loro interno richiamo metafisico, dal contaminarli col tocco magico dell'irrealtà.
Spesso abbiamo l’impressione che, dove la Broggi è passata, non rimanga più nulla.
Forse le sue incursioni nel nostro mondo hanno il solo compito di dimostrarci che nulla esiste di già fatto; e tanto meno l’archetipo assoluto.
Persino le figure evanescenti della sua produzione grafica sembrano cancellarsi l’una con l’altra: la superficie torna bianca, nessun segno sporca la carta di nuovo intatta.
Ma, se alziamo la carta contro la luce, ecco affiorare in filigrana un disegno gracile e nitidissimo, come i segni che le precise zampine del passero tracciano sulla neve dei giardini d’inverno.
Il molteplice, l’antitetico, l’escludersi reciproco, sono proiettati dalla Broggi in uno spazio di vitale sutura, che è la quantità e la qualità di tensione morale e scientifica (da laboratorio linguistico ) che vi si esprime, con una trasparenza che tutto riconduce sempre all’oggettiva presenza di "merci".
La sua funzione è di aderire pellicolarmente ad una fenomenologia quotidiana.
La stessa intensità di evidenza "tattile" è nei dipinti più recenti: da I’Intermittenza del cuore nell'universo tecnologico a Synthesys, da Acme Rammemorante a Presenze n. 10, ma con un arrovesciamento di funzione e di scopo rispetto ad una Erfindung neo-surreale o neo fantastica, nella misura in cui il visibile del linguaggio pittorico non trascrive un visibile che è delle cose, anzi punta a condensare in immagini un complesso flusso mentale e psichico.
E non al modo che fu della visionarietà delle avanguardie storiche, cioè per immersione in quel flusso, ma ponendosi nei confronti di questo, in un’attinenza che è al tempo stesso di sondaggio e di ragionamento, di affidamento e di lettura critica.
Il rapporto col proprio tempo è insomma un rapporto coinvolgente: un legame che porta a cifrare e decifrare - a codificare e decodificare - quel che il tempo sedimenta in profondo al di là di paratie psicologiche e naturalistiche.
Ciò non toglie che agisca anche un livello di intenzionalità, un livello che vorremmo definire ideologico. La Broggi esibisce, infatti, gli intoppi, i blocages, le strozzature del moto anche in quanto metafore della storia; stabilisce cioè un collegamento tra il dato fantastico e i riflessi, le reazioni della coscienza.
Questo forse spiega perchè l'assemblage iconico abbia come corrispettivo dell’onirismo l’apparente riconoscibilità delle forme. I momenti emblematici del tessuto pittorico alludono in realtà ad uno stato, di squilibrio o di transizione, nelle società capitalistiche contestualmente alla situazione di crisi dei linguaggi artistici. Ma non si chiudono a questo: che anche nei testi dove più esasperante è il dinamismo l’acme formale è tale che l'energia si apre ad effetti di pittura metafisicizzante.
La dialettica del "dentro" e del "fuori", del subconscio e dei riflessi di questo sulla sfera esterna, ordina in altri termini, in ottemperanza alla oggettiva plurivalenza dei segni, i molteplici livelli nei quali si organizza la materia e si compone l'iconografia broggiana.
Di qui il carattere composito e complicato di tali esperienze, la loro glacialità di reperto e la capacità di focalizzare, di oggettivizzare stati della coscienza profonda che sono poi stati della coscienza collettiva in un dato momento storico.
La "macchina", che potrebbe rappresentare non più che se stessa in una sorta di organico rito iperrealista è così il fulcro o l’asse su cui si distende una molteplicità di significati che corrisponde all’intrico del mondo contemporaneo.
Per paradosso, si potrebbe riconoscere alla Broggi l’intendimento di sempre aggiungere ai tanti punti di vista che la pittura (e non solo la sua) può e deve offrire ulteriori focali, ulteriori squarci che trattengano tutte le contraddizioni, inespresse o espresse, nelle maglie di un ordito che è metafora, idea e scrittura dell'orrendo universo del capitale.
Floriano De Santi
Marzo-Aprile 1977
Gennaio-Febbraio 1977
Presentazione mostra personale
Galleria Bergamini Milano
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